IL PRETORE
                          RILEVA E/O RITIENE
    La  Bergamo  Esattorie S.p.a., procedendo esecutivamento in odio a
 Vilia Lazzaroni, eseguiva pignoramento mobiliare nella casa  di  lei,
 col rito fiscale.
    Contro l'esecuzione insorgeva, ex art. 619 del codice di procedura
 civile,    Renata    Geromel   (altrove   residente),   protestandosi
 proprietaria dei beni staggiti.
    Sospesasi l'esecuzione stante l'incertezza del caso, e convocatesi
 le parti, la signora Lazzaroni  disertava  il  processo,  l'esattoria
 invece si costituiva: facendo rilevare che l'opponente era, e', madre
 dell'esecutata  e  invocando,  coerentemente, l'art. 52 del d.P.R. 29
 settembre 1973,  n.  602,  il  quale  stabilisce,  fra  l'altro,  che
 "l'opposizione  non  puo'  essere  proposta.. .. .. dal coniuge e dai
 parenti  e  affini  sino  al  terzo  grado  del  contribuente  e  dei
 coobbligati,  per  quanto  riguarda  i mobili pignorati nella casa di
 abitazione del debitore e del coobbligato.. .. .."
    La signora Geromel eccepiva  l'illegittimita'  costituzionale  del
 citato  art.  52,  per  contrasto  col  codice  di  procedura  civile
 ordinaria e quindi,  a  suo  avviso,  col  principio  di  uguaglianza
 stabilito dall'art. 3 della Costituzione.
    E'  stata  dichiarata  la  contumacia della Lazzaroni, ed e' stata
 confermata la sospensione dell'esecuzione: cio' perche' "la norma che
 l'opposta   invoca   per   paralizzare   l'avverso   ricorso   appare
 effettivamente  sconcertante,  sia  pure  sotto un profilo diverso da
 quello indicato dalla ricorrente".
    Orbene, tale profilo e' il contrasto, che sospettiamo  fortemente,
 con  un'altra  norma  costituzionale,  l'art.  24: il quale sancisce,
 com'e' noto, il diritto  alla  difesa  giudiziaria  (per  brevita'  e
 semplicita'  trascuriamo  invece  l'art. 42, il cui secondo comma pur
 statuisce che "La proprieta'  privata  e'  riconosciuta  e  garantita
 dalla legge.. .. ..").
    Invero,  che  alcuni crediti siano tutelati, sul piano sostanziale
 e/o su quello processuale, con piu' energia degli altri,  e'  realta'
 legislativa  consolidata e assolutamente non censurabile, neppure dal
 punto di vista dell'art. 3: poiche' il principio di  uguaglianza  non
 esclude  affatto,  anzi  impone o suggerisce che situazioni, e quindi
 relazioni creditorie diverse, siano trattate, appunto,  diversamente.
 Spetta al legislatore ordinario la selezione delle piu' degne, con il
 solo  limite  della  razionalita' della scelta: razionalita' che, nel
 caso dell'elezione, fra gli altri,  dei  crediti  fiscali,  non  puo'
 certo ritenersi violata.
    Senonche',  codesta  tutela privilegiata non puo' essere garantita
 senza limiti, come se non esistessero altri principii e criteri con i
 quali pur coordinarsela: pertanto, non potra', la tutela del  crediti
 ancorche'  privilegiati,  perseguire  parte  debitrice  oltre misura:
 onde, per esempio, l'art. 514 del codice  di  procedura  civile,  che
 elenca  i  beni  mobili assolutamente impignorabili: elenco del quale
 codesta  Corte,  recentissimamente  (ordinanza   n.   492/1990),   in
 lusinghevole  adesione  a  nostra  presa di posizione (pret. Bergamo,
 ordinanza  26  aprile  1990  in  causa  n.   93/90   es.),   ha   ben
 autorevolmente  auspicato  generoso  allungamento  (che, tra l'altro,
 adeguerebbe la legislazione nazionale a  quella  di  Paesi  parteners
 molto evoluti, per esempio la Repubblica di Germania).
    Si  diceva dunque che la tutela creditoria, quale che sia la fonte
 e natura del credito, non puo'  spingersi  fino  all'avvilimento  del
 debitore.  Ma - e ora entriamo nel vivo del tema - meno ancora potra'
 colpire le aspettative e i  diritti  di  terzi  estranei.  Anzi,  per
 quanto  concerne  questi  ultimi,  i  loro  diritti (che sono - lo si
 ricordi - diritti reali| onde, il superiore richiamo  anche  all'art.
 42)  ci sembrano pressoche' incomprimibili, qualunque sia la dignita'
 del confliggente diritto del creditore procedente.
    Nei rapporti fra terzo opponente e creditore, le regole del  gioco
 sono  rigide,  non possono derogare in misura apprezzabile a un certo
 schema: che e' quello seguito dal  codice  di  procedure  civile.  Se
 norme  speciali compiono deroghe notevoli, saranno inammissibili: non
 - ribadiamo - per il fatto in se' della disparita' di trattamento che
 creano fra creditori, bensi' perche' il diritto primario del terzo ne
 riesce violato.
    Nel  nostro  caso,  la  disciplina dettata dall'art. 52 piu' volte
 ridetto rappresenta, rispetto alle regole  stabilite  dal  codice,  e
 quindi  a uno schema equilibrato e razionale, una deviazione piu' che
 apprezzabile, una deviazione enorme.
    Quali  sono  codeste  regole  del  gioco,  che   contemperano   il
 soddisfacimento,  l'aspettativa  di  soddisfacimento,  della  pretesa
 creditoria  del  procedente  con  i  diritti  inviolabili  del  terzo
 opponente?
    Le   illustriamo,   anche   perche'  la  loro  interpretazione  e'
 controversa, e quella adottata (verosimilmente - pensiamo - anche  in
 conseguenza  del  fatto  che  in subjecta materia i giudici di solito
 sentono,  come  si  dice,  una  sola  campana,  il  procedente:  che'
 l'esecutato,   i  familiari,  le  persone  del  suo  ambiente  spesso
 giacciono a un livello socioeconomico cosi' modesto che non sanno e/o
 non possono far valere giudizialmente le  loro  ragioni)  adottata  -
 dicevamo  -  dalla giurisprudenza dominante (non pero' unanime) e', a
 nostro   avviso,   sovente   arbitraria,   apodittica   (quella    di
 legittimita')  o  acritica  (quella di merito): noi, invece, seguiamo
 l'ammonimento di codesta Corte, secondo cui le leggi,  se  appena  e'
 possibile  (altrimenti,  se  ne  investe la Corte), vanno intese (nel
 nostro caso cio' e'  possibile  e  facile)  nel  modo  che  le  renda
 compatibili,   o  piu'  conformi,  alle  norme  costituzionali;  e  -
 aggiungiamo, invocando anche l'art. 12 delle preleggi - ai  principii
 generali:  tra i quali, quello per cui il debitore risponde delle sue
 obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art.  2740  del
 codice  civile):  con  tutti i suoi beni dunque stabilisce questa pur
 impietosa  norma,  non  gia'..  ..  ..  con  i  beni  di  terzi:   la
 responsabilita' e' personale, salvo casi particolari e specifici (per
 es.  quello  dell'art.  2048  del  codice  civile),  in  cui pero' e'
 comunque riscontrabile una responsabilita' almeno  indiretta.  Questo
 e'  il  fermo  principio,  e dev'essere rispettato anche di fatto, in
 sede esecutiva.
    Ordunque.  Secondo  le  regole  ordinarie  qualunque  terzo   puo'
 proporre   opposizione  all'esecuzione  (e  i  terzi,  almeno  quelli
 conviventi con l'esecutato  secondo  le  risultanze  del  verbale  di
 pignoramento  nonche'  quelli  cui  nel  medesimo verbale l'esecutato
 abbia  attribuito  la  proprieta'  dei  beni,  saranno  messi   nella
 possibilita'   di  agire  in  quanto  saranno  stati  tempestivamente
 informati  del  processo,  convocati  d'ufficio   all'udienza   quali
 "interessati"  ex  art. 485 del codice di procedura civile): coniuge,
 parente,  affine,  o  estraneo  alla  famiglia;  convivente   o   non
 convivente.  I  familiari,  specie  se  conviventi,  sono,  tuttavia,
 facilitati  (altro  che  esclusi   come   vorrebbe   l'art.   52   in
 contestazione|).
    Anzitutto, il coniuge: da un lato egli, o ella, dovra' presentare,
 come  chiunque  altro,  opposizione se si vantera' proprietario/a, in
 regime di separazione dei beni, dell'ideale interezza  del  compendio
 pignorato; ma, d'altro lato, senza neppure necessita' di opposizione,
 grazie  alla presunzione legale di cui all'art. 159 del codice civile
 (sempreche'  -  s'intende  -  il  debito  non  risulti  essere  stato
 contratto  nell'interesse  della  famiglia:  art. 186 id. cod.) sara'
 implicitamente riconosciuto/a, d'ufficio, proprietario/a della  meta'
 ideale  dei  beni: con la conseguente corresponsione a lui o a lei di
 meta' della somma ricavata dalla vendita giudiziale che avra' sciolto
 la comunione. E si badi che  quest'ultimo  procedimento,  ispirato  a
 esigenze   di   speditezza,   se   non   sfavorira'  parte  debitrice
 avvantaggera' parte creditrice, rispetto  a  quello  che  sarebbe  di
 stretto  rigore  legale:  secondo  l'art. 600 del c.p.c., infatti, il
 giudice dell'esecuzione provvede, quando e' possibile, e cioe'  nella
 rara  ipotesi di massa di cose omogenee, alla separazione della quota
 in natura; ma se la separazione non e' possibile, e cioe' nella quasi
 totalita' dei  casi,  sceglie  discrezionalmente  fra  la  vendita  -
 semplice  -  della  quota  indivisa  e  la  -  laboriosa  - divisione
 giudiziale. Con fedelta' a tale norma, il Tribunale di  Pavia  il  20
 novembre  1979  ha  sentenziato  che  "L'azione  esecutiva  avente ad
 oggetto i beni mobili nella casa coniugale  resta  circoscritta  alla
 quota  ideale  -  il  50%  - di proprieta' del coniuge esecutato, con
 conseguente illegittimita' del pignoramento  relativamente  a  quella
 parte  dei  beni che eccedono detta quota", e prestigiosa dottrina ha
 spiegato la "particolarita' del pignoramento  della  quota  del  bene
 indiviso"  affermando che "non si tratta della apprensione diretta di
 un bene.. .. .. ma di sostituire il debitore nella relazione con  gli
 altri comunisti".
    (Tutto  cio',  e cio' che si sta per dire, viene scritto non certo
 per amore di prolissita',  bensi'  -  ricordiamo  -  per  evidenziare
 l'abnormita' di questo art. 52, in materia esattoriale, nei confronti
 di una disciplina che sia rispettosa dei diritti e interessi di tutti
 -  disciplina  che coincide con quella del codice di procedura civile
 -).
    Per quanto concerne i parenti delle persone esecutate (che,  pure,
 secondo  l'art.  52  non  potrebbero  neanche  interloquire), essi si
 avvalgono, con grande bneficio, della  giusta  interpretazione  della
 formula  "casa  del debitore" contenuta nell'art. 513 del c.p.c.: per
 casa del debitore non puo' intendersi  quella  in  cui  egli  sia  in
 posizione  familiare  subordinata..  ..  .. Il proprietario di casa o
 capofamiglia ivi abitante si pesume proprietario dei mobili posti  in
 essa  (trib.  Firenze  13  giugno 1950, App. Genova 30 gennaio 1953);
 "Per casa del debitore non puo' intendersi quella  nella  quale  egli
 comunque  abita, ma quella che effettivamente e' sua per un titolo di
 natura reale od obbligatoria" (pret. S. Miniato 30 maggio 1960,  Mori
 e  altro c. soc. I.C.A.P.); "Per casa del debitore ai sensi dell'art.
 621 del c.p.c. deve intendersi la casa della  quale  il  debitore  e'
 titolare,  e  non la casa nella quale egli abita" (pret. Bergamo - in
 persona di magistrato diverso da chi scrive - 30 giugno 1961, Campana
 c. Gasperoni e altro). Nel medesimo senso, trib.  Rossano  21  aprile
 1950, app. Genova 11 settembre 1950, app. Milano 6 luglio 1951, trib.
 Pistoia  11  gennaio 1952. Ancora: "Non costituisce casa del debitore
 quella in cui il figlio esecutato vive come ospite del padre"  (pret.
 Modena  20  dicembre  1962,  con  commento  favorevole),  rigorosa  e
 drastica, corte Torino 9 febbraio  1951:  "Se  il  debitore  viva  in
 casa..  ..  ..  di  parenti,  e'  nullo  il  pignoramento  dei mobili
 eseguitovi, salvo che, non il rivendicante, ma il pignorante dimostri
 trattarsi di oggetti appartenenti al debitore e da lui immessi  nella
 casa..  ..  .."    Insomma,  "casa del debitore, checche' ne pensi in
 contrario   la   Cassazione"    (trascriviamo    dottrina    classica
 specialistica)  "non  e'  la  semplice  casa di abitazione di cui, ad
 esempio,  espressamente  si parla nell'art. 139 (del cod. proc. civ.,
 n.d.r.) al fine della notificazione nella residenza, nella  dimora  o
 nel  domicilio  del destinatario, ma qualche cosa di piu'; e' la casa
 dove il debitore non soltanto  vive  abitualmente,  ma  vi  ha  anche
 l'esclusivo  godimento in virtu' di un diritto reale o personale.. ..
 .. E si spiega: se  non  si  aggiunge  l'appartenenza  del  luogo  al
 debitore  in  virtu'  di un rapporto giuridico non si concepisce come
 egli sia o apparisca possessore a titolo di proprieta' delle cose che
 vi  si  trovano..  ..   ..".   Tutt'al   piu',   si   discutera'   se
 "ciononostante,  nella  casa ove il debitore vive abitualmente, anche
 senza diritto reale o personale di godimento, l'ufficiale giudiziario
 puo' liberamente accedere, ricercare e pignorare" sia  pur  "soltanto
 per  le  imprescindibili  necessita' di esecuzione", o se, viceversa,
 come si e' sostenuto giusta una consequenzialita'  inesorabile,  "non
 puo'  essere eseguito il pignoramento in casa del genitore per debiti
 del figlio maggiorenne, nel qual caso il padre potrebbe anche opporsi
 all'entrata dell'ufficiale".
    Comunque, in tali casi il pignoramento  e'  invalido,  e  la  mera
 eccezione  del parente interessato vale a farlo caducare. (Il va sans
 dire che il motivo per cui noi aderiamo a  questo  indirizzo  e'  che
 esso  ci sembra logico mentre quello contrario ci sembra illogico: la
 presunzione, l'id quod plerumque accidit e'  nel  senso  che  i  beni
 contenuti  in  un'abitazione  sono  del  proprietario  di essa, o del
 conduttore; sono dei genitori, risparmiatori attempati, non sono  dei
 figliuoli,  giovani  e studenti o poco piu'. Chi vorra' negare questa
 realta' statistica, tranne forse che per qualche apparecchio hi-fi  o
 simile?).
    Se,  invece,  istruzione  probatoria  deve  aver  luogo  -  stiamo
 completando l'illustrazione dell'opposizione di  terzo  ordinaria  -,
 vigono  i  limiti  posti dall'art. 621 del cod. proc. civ.: "Il terzo
 opponente non puo' provare con testimoni  il  suo  diritto  sui  beni
 mobili  pignorati  nella  casa..  ..  .. del debitore". Ma anche tale
 disposizione va letta con attenzione;  ha  portata  assai  minore  di
 quanto si creda generalmente. La sua interpretazione si estrinseca in
 tre punti.
    Primo.  La  limitazione  varra',  secondo  la ratio della norma, a
 danno dei terzi non conviventi, le cui rivendicazioni  sono  insolite
 (che  il  mobilio  di casa A appartenga a B e' effettivamente raro) e
 quindi vanno viste con sospetto; viceversa, non avrebbe senso (se non
 quello di una persecuzione  in  certo  modo  tribale)  in  danno  dei
 coabitanti: se convivono due fratelli o due amici, di sesso diverso o
 uguale,  perche'  dubitare  che  il  mobilio  sia dell'uno/a anziche'
 dell'altro/a? Peggio ancora: se il ricco A coabita, per  filantropia,
 con  l'emarginato  B,  il  quale  contrae debiti, presumeremo che gli
 oggetti di antiquariato arredanti la  villa  appartengano  a  B?  (In
 questo   caso,  per  altro,  A  e'  gia'  salvaguardato  grazie  alla
 interpretazione retta della locuzione "casa del debitore").
    Secondo.   All'opponente   (trascriviamo   ancora   da    dottrina
 autorevolissima  che la giurisprudenza stranamente neglige) "in tanto
 e' vietato di provare testimonialmente il suo diritto di  proprieta',
 in  quanto  si  suppone,  almeno  in via virtuale, che possa dare una
 prova diversa, quale e' quella documentale.. .. ..  Laddove,  invece,
 la  prova  testimoniale  costituisce  l'unico  mezzo probatorio a sua
 disposizione, invano si pretende  che  egli  non  possa  provare  con
 testimoni  il suo diritto: cosi', ad esempio, se la prova concerne la
 proprieta' acquistata non per contratto o per  atto  unilaterale,  ma
 per  usucapione, invenzione, successione legittima etc." In tali casi
 sono invocabili quanto meno le  disposizioni  contenute  sub  2  e  3
 dell'art. 2724 del cod. civ.
    Terzo.  L'art.  621  esclude  la  prova  testimoniale. Ma che, con
 questo, imponga prova documentale, e' errore non meno grossolano  per
 il  fatto  di essere ripetuto a tutti i livelli (non pero' da tutti i
 giudici: vedi, tra i dissenzienti, pret. Gonzaga 8 maggio 1954,  app.
 Firenze  8 novembre 1958, Cassaz. 19 giugno 1964, n. 1444) e che, per
 giunta, favorisce proprio  quei  debitori  che,  in  danno  dei  loro
 creditori, preordinano le frodi piu' accorte. Sarebbe vero se i mezzi
 di prova fossero soltanto due. Ma il nostro ordinamento ne prevede, a
 tacer  della  consulenza  tecnica,  almeno  cinque.  In  particolare,
 prevede  l'interrogatorio  formale  e  la   confessione   giudiziale:
 cosicche',  nulla  (se non - osiamo dire - il timore non terziario di
 deludere  il  procedente,  e  quindi  la   volonta'   di   ostacolare
 l'opponente)  nulla  vieta che quest'ultimo deduca, sulla circostanza
 della proprieta' dei beni in contestazione, l'interrogatorio  formale
 delle  parti  sue  antagoniste,  che sono l'esecutata e la procedente
 (conf. appello Genova 30 gennaio 1953). Questi soggetti risponderanno
 secondo scienza e coscienza.  In  caso  di  contrasto  tra  essi,  il
 giudice decidera' ex artt. 2733 e 2738 del
 cod. civ.
    Cosi'  dunque,  in  breve,  si  svolge  l'esecuzione ordinaria nei
 confronti  del  terzo  opponente;  e  cosi'   deve   svolgersi   ogni
 esecuzione,  per  essere,  come  si spiegava all'inizio, equilibrata,
 ragionevole, civile, non vessatoria e barbarica: un  processo  e  non
 una razzia. In tale esecuzione e' del tutto escluso, sol che la parte
 interessata  assuma  giudiziale  iniziativa (da questa sembra - salvo
 ulteriore approfondimento della questione - non potersi prescindere),
 che alcuno venga sanzionato se  non  ha  responsabilita',  e  sol  si
 trova,   per  esempio,  in  situazione  familiare  problematica:  con
 figliuoli che sottoscrivono contratti assurdi (per es. quelli - e non
 sono i  peggiori  -  denunciati  nell'interpellanza  parlamentare  n.
 2-00357  del  13  settembre  1988, trasmessa anche a questa curia, la
 quale per altro era gia' autosensibilizzata),  predisposti  magari  a
 chi  poi  nei  tribunali  vorra'  tenere  sermoni  sulla nequizia dei
 debitori; la ragazza  succube  della  pubblicita'  e  quindi  prodiga
 davanti ai belletti e le vesti alla moda; il giovane che, tratto alla
 schiavitu'  dei narcotici, deve procurarseli al mercato nero, e prima
 o poi si ritrova in debiti pecuniarii anche verso lo Stato. In simili
 casi, la corretta interpretazione della legge  consente  anzi  impone
 che  sugli  sfortunati  genitori  o  altri  parenti non si infierisca
 aggredendosi i beni di loro proprieta', in aperta violazione di  ogni
 norma   sui   diritti   dominicali,  e  addirittura  inibendosi  loro
 d'emble'e, con sbrigativita' intollerabile, l'accesso alle giudiziali
 difese.
   Soluzioni diverse - ritorsioni trasversali -  sarebbero,  a  nostro
 avviso,  aberranti.  Aberrante riteniamo dunque, per contrasto con il
 primo e il secondo comma dell'art. 24 della  Costituzione  (a  tacere
 del  secondo  comma  dell'art. 42), l'alinea b) del secondo comma del
 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.